Il primo a raccogliere le poche e un po’ generiche prescrizioni del Concilio di Trento fu Pio V, successore di Pio IV, il pontefice che aveva voluto il Concilio. Egli si occupò degli archivi ecclesiastici a più riprese. Con il breve Inter omnes, del 6 giugno 1566, confermava solennemente ed estendeva alla Chiesa quanto S. Carlo Borromeo aveva prescritto nel Concilio provinciale celebrato a Milano nel 1565 per la provincia metropolita . Tra le altre prescrizioni vi era anche quella che fosse istituito in ogni diocesi, dove ancora mancasse, un archivio episcopale, nel quale si dovevano conservare gli inventari dei beni che a vario titolo facevano capo alle chiese e alle opere della diocesi:
at vero in quibus ecclesiis, vel cathedralisbus, vel collegiatis, archivium eiusmodi non sit, ab episcopis instituantur .
Dagli atti dei concili provinciali, diocesani e dai verbali delle visite pastorali si poteva anche desumere un titolario dei vari archivi, da quello vescovile a quello degli enti ecclesiastici minori:
luoghi pii: serie di libri redatti pubblici notarii manu;
beni ecclesiastici: serie di libri gli inventari di tutti i beni;
anagrafe: serie di libri dei battezzati, cresimati, matrimoni e morti;
indulgenze;
altari, campane, cimiteri: serie di libri riportanti le feste celebrate;
monasteri femminili: allora erano sotto la diretta giurisdizione del vescovo;
foro ecclesiastico: serie di libri che erano presso i notai e i cancellieri;
archivio della fabbrica del duomo e del Seminario;
visite pastorali e ordinazioni sacre .
Secondo S. Carlo Borromeo i documenti erano monimenta, gli strumenti legali che attestavano l’appartenenza di vari beni ad enti ecclesiastici di qualsiasi categoria, e permettevano, quando ce ne fosse stato bisogno, di farne rivendicazione. Inoltre, esisteva la necessità di conservare ben ordinata tutta la documentazione che riguardava l’azione pastorale della Chiesa: amministrazione dei sacramenti, stato religioso delle famiglie negli status animarum, stima dello zelo dei pastori nella rilettura dei decreti o prescrizioni, richiamo ai buoni costumi e alla pratica religiosa dei fedeli.
Con la bolla Cum in litteris, del 13 agosto 1568, indirizzata la vescovo di Montefiascone, il pontefice riprendeva l’abuso di chi non rivelava dove si trovassero i documenti, in specie gli inventari di beni che riguardavano direttamente la S. Sede, la Camera apostolica o gli altri settori ecclesiastici e comandava per entrambe le categorie di documenti, sotto pena della scomunica, di usare la stessa premura per conservarli o recuperarli .
Infine con la costituzione Muneris nostri, del I marzo 1571, il pontefice prescriveva ai vescovi del regno di Sicilia di redigere ogni anno l’inventario degli atti criminali di ciascuna diocesi e di custodirlo con diligenza.
Nel XVI secolo anche Sisto V si era interessato agli archivi ecclesiastici, emanando vari decreti: infatti, con il breve Regularium personarum, del 20 giugno 1588, ordinava alle congregazioni monastiche di compilare l’inventario di tutti i beni e di inviarne una copia all’archivio della loro casa a Roma. Con la costituzione Sollicitudo pastoralis, del I agosto 1588, aveva ordinato, poi, l’erezione di archivi in tutte le città e località dello Stato pontificio, eccettuate Roma e Bologna. Infine, con il Motu proprio Provida Romani, del 29 aprile 1587, aveva imposto a tutti gli ordinari d’Italia e ai superiori di tutte le case religiose di redigere l’inventario di tutti i beni da loro dipendenti. Nel medesimo documento revocava la prescrizione da lui precedentemente emessa di erigere un archivio generale nell’Urbe con relativo ufficio di archivista generale .
Papa Benedetto XIII (1724-1729) provvide, invece, al recupero e al restauro del patrimonio archivistico e, nel Secondo Concilio provinciale celebrato a Benevento nel 1698, ribadì il suo interesse. Divenuto papa nel 1724, si adoperò alla celebrazione di un Concilio romano, celebrato l’anno seguente. Tra le ordinazioni in esso emanate ve ne fu una in sei capitoli riguardante l’erezione degli archivi diocesani, che indicava la documentazione che vi doveva esser conservata, gli inventari di tutti i beni ecclesiastici dei vari enti della diocesi, le cautele da prendere per la protezione degli archivi al tempo delle sedi vacanti e le pene da infliggere a chi sottraeva documenti. L’obbligo dell’erezione dell’archivio per la conservazione delle proprie carte riguardava tutte le chiese, dalla cattedrale alle collegiate, dalle parrocchiali e a tutti i luoghi pii, ospedali, confraternite e congreghe .
Al decreto emesso nel Concilio faceva seguito, il 14 giugno del 1727, la costituzione di Maxima vigilantia, nella quale si prescriveva agli ordinari tutti, ai capitoli e superiori religiosi in Italia di erigere un proprio archivio e di provvederlo di un archivista. Nella costituzione era annessa in lingua volgare una Istruzione per le scritture da riporsi negli archivi: si sviluppava in sette paragrafi, nei quali si enumeravano tutte le specie di scritture che dovevano essere riposte e conservate nelle varie categorie di archivi .
Il I giugno 1746 il papa Benedetto XIV fece pubblicare dal camerlengo cardinale Silvio Valenti un Bannimentum generali: Novi ordines de Archivis Status Ecclesiastici apte instruendis et conservandis in cinquanta capitoli .
Gli interventi seguirono poi anche nel XX secolo. Il 30 settembre del 1902 la Segreteria di Stato emanò una circolare con annesso regolamento per la custodia di archivi e biblioteche ecclesiastiche e con suggerimenti pratici sul modo di compilare gli inventari e gli schedari.
Il 12 dicembre del 1907 il cardinale Raffaele Merry del Val, segretario di Stato, diffuse una lettera nella quale si ordinava la costituzione in ogni diocesi di un Commissariato permanente assistito da una commissione di esperti laici ed ecclesiastici per i documenti e monumenti custoditi dal clero. Nel 1917 papa Benedetto XV promulgò il Codice del diritto canonico in cui venivano stabiliti in molti canoni precise prescrizioni sull’archivio diocesano e in particolare sulla conservazione dei libri parrocchiali. La circolare del I novembre 1942 del cardinale Giovanni Mercanti, bibliotecario archivista di S. R. C., rivolta agli ordinari d’Italia, richiedeva, per augusto incarico del nostro S. Padre Pio XII, un censimento del patrimonio archivistico e bibliografico sotto la loro giurisdizione, per conoscere
non vagamente e in confuso, come fin ora, la consistenza vera e reale, al momento presente, del patrimonio archivistico e bibliografico .
Il 5 aprile 1955 venne istituita da papa Pio XII la Pontificia Commissione permanente per gli archivi ecclesiastici d’Italia, con il compito di prestare assistenza e collaborazione agli ordinari e ai superiori degli istituti religiosi per studiare e accertare quanto occorreva fare nei singoli casi, accettare i provvedimenti necessari e curarne l’esecuzione. Essa era alle dipendenze immediate del cardinale archivista e del prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano e ne facevano parte vari dignitari della curia romana. Nel 1960 il papa Giovanni XXIII modificò la composizione della Commissione, che eresse in persona morale .
Il 28 giugno 1988, la Pontificia Commissione per la Conservazione del patrimonio artistico e storico presso la Congregazione del clero è stata riformata per volontà di Giovanni Paolo II in Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, con un’autonomia propria. Inoltre, il pontefice nella Costituzione Apostolica Pastora bonus (28 giugno 1988), dichiarava autoritariamente che
tra i beni storici ci hanno particolare importanza tutti i documenti e strumenti giuridici, che riguardano e attestano la cura e la vita pastorale, nonché i diritti e le obbligazioni delle diocesi, delle parrocchie, delle chiese e delle altre persone giuridiche istituite nella Chiesa .
Infatti, l’importanza ecclesiale della trasmissione del patrimonio documentario era ed è vista come momento della tradizione, come memoria dell’evangelizzazione, come strumento pastorale .
Dunque, un archivio sufficientemente ordinato può fornire un notevole aiuto ad uno studioso per ricostruire gli aspetti principali di una diocesi o di un gruppo di diocesi. Ad esempio, per stabilire la cifra dei nati, dei morti, la loro età, l’indice di natalità, la mortalità infantile, l’età media della vita, il numero e la percentuale degli illegittimi in una data epoca. Si potrebbe controllare il movimento ascendente o discendente, cioè l’incremento o la flessione della popolazione totale, la prevalenza delle donne sugli uomini, l’età del matrimonio, la composizione delle famiglie. E’ possibile, inoltre, cogliere i cognomi più frequenti in una località (indizio probabile di matrimoni fra compaesani, di una tendenza a stringersi in gruppo, forse ad isolarsi); i cognomi frequenti in località vicine (indizio di maggiore apertura ad altri gruppi); la forte diversità di cognomi all’interno di un gruppo (indizio dei rapporti più vasti); o ancora come la popolazione del capoluogo (comune, provincia, regione) sia spesso atipica rispetto a quella dei centri isolati.
Certo i dati archivistici non presentano un quadro completo, non per una sorta di manipolazione delle informazioni da parte degli autori per il timore di usi fiscali, ma perché alcuni anni risultano incompleti o addirittura mancanti.
Quello che è assodato è che non sempre veniva riportata la popolazione totale, mentre si presentava il numero delle famiglie e quello degli abitanti “atti alla comunione” cioè di età superiore ai 13-14 anni. In ogni modo è possibile avvertire un forte declino demografico nel Seicento (dovuto alla peste), una forte ripresa nel Settecento, che vede la popolazione triplicarsi, un incremento costante, ma limitato nell’Ottocento.
E’ facile, ancora, dalle fonti archivistiche ricostruire il numero dei sacerdoti, attestando così che un tasso di presenza maggiore era fra i candidati provenienti dalla campagna, minore fra quelli del capoluogo; provenienza, nella quasi totalità, da famiglie di ceto medio-inferiore, che vedevano nell’ordinazione di un figlio una via di ascesa sociale e si impegnavano per riuscire in questo sforzo.
Dai registri matrimoniali risulta poi la persistenza dell’analfabetismo, dai benefici o dagli assensi la consistenza patrimoniale delle diocesi, delle parrocchie, delle comunità religiose. Dalla pastorale matrimoniale emergeva abbastanza chiara, specie nei paesi più piccoli, in quelli isolati, la tendenza a matrimoni fra cugini (con la richiesta della necessaria dispensa). Il fenomeno si spiega facilmente, per le frequenti relazioni fra parenti, ma anche per la preoccupazione di non disperdere il patrimonio familiare. Nel Regno di Napoli (e probabilmente in altri stati preunitari) la dispensa della S. Sede era subordinata all’exequatur regi; in particolare, in Sicilia, ottenuto dal Tribunale della Monarchia Sicula, abolita da Pio IX unilateralmente solo nel 1867 e poi da parte dello Stato con la legge delle Guarentigie del 1871 . E’ interessante la persistenza dell’abitudine a chiedere l’exequatur anche dopo la caduta della monarchia borbonica.
Infine, gli statuti ivi conservati, editi e inediti, mostrano non solo il fine specifico delle singole confraternite, ma anche la devozione tipica di ciascuna di esse e il relativo patrimonio.
L’archivio storico diocesano di Brindisi, comprendente circa 2000 faldoni contenenti approssimativamente 300.000 documenti per un periodo che va dal 1500 al 1957, ha l’insostituibile ruolo della conservazione della memoria storica di questa sede arcivescovile la cui fondazione si fa risalire ad età apostolica. Si tratta, infatti, della più antica sede episcopale del Salento, con il suo primo vescovo Marcus Calabriae presente nel Concilio di Nicea nel 325. Dal sec. X appare sede metropolitana. A causa della loro permanenza ad Oria, durante il sec. IX, gli arcivescovi avevano conservato il titolo di “Brindisi e Oria” fino al 10 maggio 1591, quando fu istituita la diocesi di Oria .
Il 27 giugno 1818 le fu aggiunto il territorio della soppressa diocesi di Ostuni (Astunensis), situazione che perdurò fino al 14 maggio 1821 quando fu ripristinata l’autonomia di Ostuni.
Dell’arcidiocesi facevano parte Brindisi (parrocchie: Visitazione di M. V., SS. Annunziata, S. Anna e SS. Resurrezione), Cellino S. Marco (S. Caterina v. e m.), Guagnano (S. Maria del Carmine), Leverano (SS. Annunziata), Mesagne (Tuttu i Santi), Salice Salentino (S. Francesco d’Assisi), San Donaci (Assunzione di M. V.), S. Pancrazio Salentino (S. Francesco d’Assisi), Tuturano (S. Maria dei Fiori); Veglie (S. Irene m.), Villa Baldassarri (S. Maria del Carmine). Fino al 1591, come si è detto, comprendeva anche Oria, Avetrana, Ceglie Messapico, Erchie, Francavilla Fontana, Latiano, Manduria, Maruggio , Sava, Torre S. Susanna, Uggiano Montefusco e Villa Castelli.
Nell’archivio storico diocesano di Brindisi sono custodite varie serie:
• Sacre ordinazioni Si tratta di un fondo costituito da fascicoli relativi al cursus sacerdotale del clero della diocesi di Brindisi, composti da varia documentazione, in conformità ai requisiti stabiliti al Concilio di Trento. All’interno vi sono, infatti, gli attestati della carriera ecclesiastica scandita dal conferimento della prima tonsura, degli ordini minori, (ostiariato, lettorato, esorcistato e accolitato) e di quelli maggiori (suddiaconato, diaconato e presbiterato). Per ciascun grado era allegata la certificazione comprovante l’assolvimento degli obblighi relativi alla buona condotta, allo studio, al servizio liturgico, agli esercizi spirituali, alle immunità da censure, ai titoli patrimoniali. Infatti, ogni candidato prima di ricevere la tonsura e di essere ammesso agli ordini minori, doveva comprovare di avere un reddito sufficiente al proprio mantenimento. Tale reddito, che costituiva il sacro patrimonio adava sempre formalizzato da atto notarile.
• Beneficialia Sono fascicoli relativi ai processi per la concessione di benefici da parte di esponenti di famiglie benestanti della diocesi di Brindisi per assicurarsi la celebrazione di messe in suffragio della propria anima e dei loro congiunti. Il fondatore o “patrono”, alla sua morte, lasciava ai suoi eredi o discendenti, il diritto di eleggere o nominare il rettore cappellano del beneficio: un chierico o sacerdote discendente da linea et genere fundatoris e di presentarlo all’ordinario diocesano per la canonica investitura.
I fascicoli erano costituiti, quindi, dagli atti presentati in curia da coloro che, in possesso dei requisiti stabiliti nell’atto istitutivo, avevano diritto al rettorato del beneficio vacante, per morte del precedente rettore. Cioè si trattava in genere di richieste dei chierici o sacerdoti aspiranti al posto di rettore o cappellano pro tempore che allegavano l’atto istitutivo, esibito in originale o in copia, dal patrono per l’esercizio dello jus presentandi, l’accertamento da parte della curia del grado di parentela degli aspiranti, gli editti dell’ordinario diocesano di attestazione della “vacanza” del beneficio e, infine, le bolle di investitura canonica. Tale documentazione si presenta rilegata in un unico volume per ciascun beneficio in ottemperanza alle norme contenute nella costituzione apostolica Maxima vigilantia, emanata dal papa Benedetto XIII.
• Acta civilia e acta criminalia L’attività giurisdizionale nel regere curiam in civilibus et criminalibus…ac de omnibus causis foro ecclesiastico spectantibus inter clericos seu laicos certentibus et ventilandis…ac etiam de causis matrimonialibus…audire et determinare ha prodotto la serie archivistiche degli acta civilia, degli acta criminalia, delle opposizioni e cause matrimoniali. La prima risulta costituita da documentazione assai differenziata tipologicamente (attinente alla materia amministrativa, alla materia disciplinare e a quella più specificatamente giudiziaria), prodotta dall’esplicarsi della competenza del titolare della giurisdizione ecclesiastica. Per cui in tale serie si trovano atti relativi alla autorizzazione all’impegno di beni mobili e immobili: assensi a surrogare in sacro patrimonio, a permutare, a concedere in enfiteusi, in prestito, ad alienare, ad accettare legati. Inoltre è presente la documentazione relativa all’amministrazione dei sacramenti, all’adempimento di norme liturgiche nelle funzioni sacre, alla condotta degli ecclesiastici e dei fedeli (licenze, dispense, scomuniche, assoluzioni, indulgenze, assensi, ecc.). Ancora in tale serie sono comprese informazioni, citazioni, denunce, monitori riguardanti le controversie per l’assegnazione dei benefici, per la divisione dell’eredità, per la violazione dei diritti di proprietà, per insolvenza, per furto. A tale proposito è importante ricordare tre procedure giudiziarie amministrative molto in uso nella prassi delle curie ecclesiastiche.
Acta capituli Odoardi (de solutione late): designava il privilegio del chierico di non essere chiamato in giudizio per un debito civile; per non essere sottratto al servizio divino che prestava né essere costretto a mendicare, doveva poter conservare un patrimonio sufficiente al vitto oppure il reddito del beneficio e ottenere una dilazione nel pagamento del debito.
Acta capituli Terrulas: designava l’eccezione alla normale prassi di alienazione dei beni ecclesiastici previo consenso papale stabilita dalla bolla Ambitiosae di Paolo II del I marzo 1467.
Monitorium ad finem revelationis: designava una particolare procedura di scomunica contro ignoti ad istanza di parte, ordinata dal vicario generale, attraverso la pubblicazione nelle chiese della città, durante la messa solenne in tre giorni festivi consecutivi, dei capita monitoriali. Qui, infatti, erano raccolti i documenti relativi alla circostanza del reato ed erano ammoniti sotto pena di scomunica coloro che avessero saputo rilevare elementi utili, direttamente o indirettamente, alla riparazione del reato .
• Acta criminalia Comprendono per la maggior parte denunce, querele, remissioni, processi veri e propri, istruttorie, monitori, mandati di carcerazione, testimoniali e istanze di perdono.
• Acta matrimonialia La serie è costituita dalla documentazione che i nubendi dovevano presentare alla curia per ottenere il contrahatur alla celebrazione del matrimonio. Ogni fascicolo conteneva, in genere, la richiesta per le “trine” pubblicazioni, le fedi necessarie all’istruttoria del processo matrimoniale (di battesimo, cresima, di libero stato), le eventuali dispense e licenze (ad esempio per la celebrazione del matrimonio in casa), gli stati liberi nel caso in cui uno degli sposi o entrambi provenissero da altra diocesi o da chiese diverse dalla parrocchia di appartenenza.
• Dispense da impedimenti matrimoniali I fascicoli costituenti tale serie comprendevano i documenti che i nubendi presentavano alla curia per ottenere la dispensa da impedimenti che ostavano la celebrazione del loro matrimonio, e cioè la dichiarazione del parroco che, dopo le opportune indagini genealogiche, attestava il grado di relativa supplica al tribunale della Sacra penitenzieria, se si trattava di impedimenti occulti, alla Dataria per quelli pubblici e manifesti.
• Monastero di S. Maria degli Angeli in Brindisi
• Monastero di S. Benedetto in Brindisi
• Monastero di S. Maria della Luce in Mesagne
In tali serie sono stati raggruppati i fascicoli relativi agli acta monialia, istruiti in conformità delle disposizione del Concilio di Trento che regolavano minuziosamente l’ingresso in monastero. Il curriculum delle religiose si profilava lungo le tappe dell’educandato e del noviziato per giungere sino alla professione solenne. Ciascuna fase era caratterizzata dall’adempimento delle formalità di rito (autorizzazione della Sacra congregazione dei vescovi e dei regolari, consenso dell’ordinario diocesano, deliberazione capitolare delle coriste). Nella maggioranza le monache appartenevano all’aristocrazia cittadina anche in considerazione delle cospicue rendite patrimoniali godute, provenienti da possedimenti fondiari, dalle doti personali delle religiose e da un oculata attività creditizia. Negli acta monialia, a cui fanno seguito i fascicoli concernenti le elezioni delle badesse, erano compresi anche gli atti riguardanti l’ingresso in monastero delle converse, religiose a tutti gli effetti (pronunciavano i voti ed erano soggette alla clausura), ma che avevano obblighi e funzioni distinte da quelli delle monache addette al coro.
• Secolarizzazione La serie è costituita dalla documentazione riguardante i religiosi appartenenti al clero regolare, che facevano richiesta di passaggio al clero secolare della diocesi. Le disposizioni del Concilio tridentino, contenute nella sessione XXV e la costituzione di papa Benedetto XIV del 4 marzo 1758 delegavano all’ordinario diocesano la competenza sui “giudizi di nullità di professione”, dettandone le norme procedurali .
Con tale normativa si prescriveva che l’ordinario dovesse “sentire il superiore del monastero ove fu fatta la professione, il difensore della religione e li parienti del professo”; istruire il processo che doveva “essere in forma ordinaria col libello ed termini, contestazioni di lite, gli articoli, gli interrogatori e le ripulse; sentire l’università come quella che è interessata per varie franchigie che dovrebbe in ogni caso di secolarizzazione, il secolarizzando godere”; accertarsi della costituzione del sacro patrimonio; ed infine “promuovere le sue ragioni se sia o no espediente accrescere un nuovo ecclesiastico secolare senza bisogno senza necessità e senza utilità e infine redigere la relazione per poter poi la Sacra congregazione determinare quel che stima giusto e convenevule”.
Era, infatti, compito della Sacra Congregazione dei vescovi e dei religiosi emettere l’eventuale “assenso di validità”, necessario perché il religioso potesse ottenere l’indulto apostolico di secolarizzazione e in conformità il regio exequatur in forza della regia risoluzione del 22 agosto 1772 emanata da Ferdinando IV di Borbone re di Napoli e Sicilia.
Il trasferimento comportava per il religioso lo svincolo dalla religione di appartenenza e lo scioglimento dai voti e da tutti gli obblighi della vita monastica, oltre al diritto di lasciare il convento al quale era aggregato e alla dimissione dell’abito monacale. L’ex-religioso, poi, faceva domanda all’ordinario di essere incardinato nel clero della diocesi per esercitare gli ordini sacri. Normalmente diveniva chierico secolare o, se già era stato investito degli ordini maggiori, riceveva la dignità di sacerdote con gli oneri inerenti.
• Esistono, inoltre, gli atti istituiti per ottenere l’autorizzazione ad erigere oratori o cappelle vicino al cimitero o presso private abitazioni in città o in contrade rurali.
Le richieste, inoltrate all’ordinario diocesano, dovevano essere motivate e venivano accolte solo in presenza di una sufficiente garanzia dotale destinata al mantenimento del beneficio.
• Contabilità del capitolo di Brindisi Secondo lo statuto del 1727 la gestione amministrativo-contabile dei beni e delle rendite del capitolo era affidata ad un procuratore generale, a tre deputati ordinari, a due razionali dei conti del procuratore e a tre deputati della cassa del deposito, tutti eletti annualmente dal capitolo generale.
L’ufficio del procuratore generale consisteva nel ”esigere tutte le rendite ordinarie, e straordinarie, arretrate e correnti” provenienti dagli affitti dei fondi rustici e urbani, dai censi, canoni e dalle prestazione “di qualunque altro ramo e cespite doversi per l’introito e rendimento degli affitti stare alle scritture” . Il procuratore provvedeva, inoltre, alle spese ordinate dai deputati e procedeva al pagamento semestrale delle cedole delle antiche porzioni capitolari, spettanti alle dignità, ai canonici e ai partecipanti. Similmente procedeva alla ricognizione dei beni dati in affitto; curava la stipula dei nuovi contratti e relazionava al capitolo su gli eventuali provvedimenti o “necessità di accomodo”.
Alla scadenza del suo mandato era tenuto, entro il mese di dicembre, a rendere il conto della gestione ai razionali per esaminare se la massa capitolare era stata fedelmente e legittimamente amministrata.
I deputati ordinari avevano il compito di vigilare sugli interessi del capitolo; assistere il procuratore generale sulla stipula dei fitti dei beni immobili; ricevere le affrancazioni dei censi; compilare entro il mese di marzo il bilancio di previsione per l’anno finanziario successivo e ordinare qualsiasi spesa ritenessero vantaggiosa per il capitolo, firmandone i mandati e i “biglietti di pagamento” .
I razionali dei conti del procuratore generale, che si riunivano in commissione sotto la presidenza di una delle dignità del capitolo, avevano il compito di “riconoscere i conti” del procuratore precedente; di discutere la legittimità delle “partite dell’introito ed esito”.
Infine, i deputati per la cassa di deposito avevano il compito di conservare ciascuno le tre chiavi della cassa. Solo a loro era permesso aprirla “per depositarvi denaro o per estrarlo e confirmarne il libro dell’introito ed esito da conservarsi dentro la medesima cassa” . Tale libro doveva poi “essere collazionato” dagli stessi revisori dei conti del procuratore per “acciò si vede l’esito se batte con l’introito, che danaro vi resta e se quella è stata fedelmente amministrata” .
• Libri di messe, denominate “capitolari”, “beneficiari”, “del seminario”, informavano della registrazione effettuata annualmente dai canonici “segretari” degli adempimenti degli obblighi di messe celebrate dalle dignità, dai canonici e dai partecipanti del capitolo o da altri sacerdoti.
Nei “libri di masse capitolari”, denominati anche “quinterni delle messe” o “libri degli obblighi di messe capitolari”, venivano annotati in ordine alfabetico i nomi degli officianti, l’elenco dei “benefattori”, il numero delle messe ed il giorno in cui le stesse erano state celebrate.
Nei “libri delle messe beneficiali” venivano registrate annualmente le messe celebrate per adempire alle disposizioni del fondatore del beneficio di patronato laicale. Anche questi registri comprendevano il titolo del beneficio o il nome del benefattore, il nome dei sacerdoti beneficiati e il giorno della celebrazione.
I “libri di messe del seminario” riportavano, invece, gli obblighi di messe celebrate dai componenti del capitolo e disposte dalle congregazioni o delle confraternite, i cui proventi erano destinati in beneficio del seminario.
• Puntature La serie è costituita da fascicoli che segnavano le assenze del clero dal servizio corale. A tale ufficio dovevano partecipare tutti i capitolari, dalle dignità ai partecipanti semplici, che percepivano in base alla presenza, un compenso.
I puntatori erano in genere due per ogni coro ed erano eletti annualmente. Avevano il compito di “puntare” non solo i capitolari assenti dal coro per malattia, ma anche coloro che, fisicamente presenti, vi partecipavano in maniera superficiale o si allontanavano senza la necessaria autorizzazione.
Nel secolo XIX in alcune diocesi, per evitare abusi nel computo delle assenze, da parte dei puntatori, veniva eletto un “contropuntatore” di nomina vescovile.
Esiste, inoltre, nell’archivio storico diocesano di Brindisi una documentazione relativa all’erezione e alla gestione del seminario e della Congrega di S. Michele Arcangelo in Francavilla Fontana e una raccolta della corrispondenza indirizzata al capitolo o ai singoli canonici eletti periodicamente a ricoprire i vari incarichi di amministrazione .
SIGLE DI COLLOCAZIONE
A Assensi
Ap Appellatio
B Acta Beneficialia
C Congrega di San Michele Arcangelo in Francavilla Fontana
Cr Acta Criminalia
Cs Cursus sacedotali
Cv Acta Civilia
D Donazioni
I Istrumenti pro anima
L Legati pii
M Processetti matrimoniali
O Orfanotrofio di Santa Chiara
P Pie disposizioni
S Scomuniche
SA Monastero di Santa Maria degli Angeli in Brindisi
SB Monastero di San Benedetto in Brindisi
SL Monastero di Santa Maria della Luce in Mesagne
Se Secolarizzazioni
V Varie
VM Varie matrimoni
Copyright © 2023 - Fondazione Biblioteca Pubblica Arcivescovile Annibale De Leo - C.F. 80006850749 Privacy Policy | Cookie Policy | Aggiorna preferenze Cookies | Powered by LnW Digital Strategies
Richiedi informazioni