come se non esistesse.
In realtà anche il nostro cervello è programmato per agire rapidamente tramite meccanismi
ancestrali automatici (attacco, fuga, freezing), ma tali strategie sono spesso tanto veloci quanto
grossolane e sono destinate perlopiù a salvarci da un pericolo imminente.
Siamo poi provvisti di meccanismi di risposta decisamente più lenti, comparsi successivamente
nella nostra storia evoluzionistica – ma anche nel nostro percorso evolutivo – che si fondano sul
ragionamento e l’esperienza.
Il linguaggio, la scrittura, l’arte, il ragionamento, la ricerca, la scoperta sono tutti processi che hanno
alla base un pensiero lento, eppure siamo abituati a ritenere non solo opportuno, ma indispensabile
tendere alla velocità, come se fosse sinonimo di una performance qualitativamente migliore.
Questa velocità la possiamo cogliere nelle decisioni che prendiamo ogni giorno, nei rapporti
interpersonali che tessiamo (e che terminiamo) e nella comunicazione: interessante a riguardo è
notare come i social network con il passare del tempo siano sempre più tendenti alla velocità,
piattaforme in cui si comunicava con testi potenzialmente lunghissimi sono state sostituite da app in
cui si hanno a disposizione una manciata di caratteri o che addirittura prevedono esclusivamente
l’uso di immagini per pochi secondi.
In questo mondo sempre meno analogico e sempre più digitale il pensare e il fare sono spesso
contrapposti e non immaginati come processi necessariamente consecutivi: un pensare al servizio
del fare.
Maffei, passando in rassegna studi sociologici e di neuroscienze, invoca un pensiero lento e
irriverente che privilegia la profondità all’accelerazione e che è ancora capace di cogliere e generare
poesia.
“Il mio è un invito a riconsiderare le potenzialità del cosiddetto ‘‘pensiero lento’’ basato
principalmente sul linguaggio e sulla scrittura.
Ci è data la logica, la matematica, la contemplazione, la poesia; io dico: teniamoci queste
caratteristiche ben strette”.
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