I consigli della Psicoterapeuta – #60

I consigli della Psicoterapeuta – #60

27 Mag 2024

a cura di Lucia Destino
Titolo: Oceano Mare
Autrice: Alessandro Baricco
Genere: Narrativa
Editore: Feltrinelli
Anno: 2013 – I edizione originale: 1993

“Sai cos’è bello, qui?
Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate.
Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un’orma, un segno qualsiasi, niente.
Il mare cancella, di notte.
La marea nasconde.
È come se non fosse mai passato nessuno.
È come se noi non fossimo mai esistiti.
Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui.
Non è più terra, non è ancora mare.
Non è vita falsa, non è vita vera.
È tempo.
Tempo che passa.
E basta.”
Oceano Mare non ha bisogno di presentazioni.
Lo stile inconfondibile e barocco di Alessandro Baricco è al suo massimo, deve piacere il genere: io, personalmente, lo amo.
Com’è facilmente intuibile il mare è protagonista del romanzo, ma ne è anche lo sfondo sul quale si muovono i personaggi, sospesi e indefiniti, in un tormentato divenire.
I personaggi sono memorabili: Elisewin, troppo fragile per vivere e troppo viva per morire, il Prof. Barteboom che cerca i confini del mare per la sua Enciclopedia dei limiti e Plasson, il mio preferito, che dipinge il mare intingendo i suoi pennelli nell’acqua di mare, creando innumerevoli quadri bianchi.
Il libro è tripartito: nella prima parte “La locanda Almayer” Baricco presenta i diversi personaggi e ci apre le porte della locanda.
L’atmosfera è onirica, surreale, potrebbe benissimo essere un quadro di Renè Magritte.
“Ancora adesso, nelle terre di Carewell, tutti raccontano quel viaggio.
Ognuno a modo suo.
Tutti senza averlo mai visto.
Ma non importa.
Non smetteranno mai di raccontarlo.
Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi.
E qualcuno – un padre, un amore, qualcuno – capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume – immaginarlo, inventarlo – e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio. Questo, davvero, sarebbe meraviglioso.
Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita.
E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente, si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare.
Farsi ferire, anche.
Morirne.
Non importa.
Ma tutto sarebbe, finalmente, umano.
Basterebbe la fantasia di qualcuno – un padre, un amore, qualcuno.
Lui saprebbe inventarla una strada, qui, in mezzo a questo silenzio, in questa terra che non vuole parlare.
Strada clemente, e bella.
Una strada da qui al mare.”
Nel secondo capitolo “Il ventre del mare” è raccontato il tragico naufragio della fregata francese Méduse e nel terzo “I canti del ritorno” vengono riprese tutte le storie dei personaggi presentati precedentemente.
Baricco come sempre è capace di trascinare nelle sue storie, riesce anche in questo caso, in questo piccolo universo pieno di fili intrecciati che sono i suoi personaggi – decadenti, irrisolti, intrisi di malinconia e speranza, così miseramente umani, così incredibilmente ultraterreni – in cui è impossibile non riconoscere almeno una parte di sé.
E farci pace.
“La prima cosa è il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati, la sesta è fame, la settima orrore, l’ottava i fantasmi della follia, la nona è la carne e la decima è un uomo che mi guarda e non uccide.
L’ultima è una vela.
Bianca.
All’orizzonte.”

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