a cura di Lucia Destino
Titolo: Abbiamo sempre vissuto nel castello
Autrice: Shirley Jackson
Traduttrice: Monica Pareschi
Genere: Narrativa
Editore: Adelphi
Anno: 2020 – I edizione originale: 1962
“Merricat, disse Connie, tè e biscotti: presto, vieni.
Fossi matta, sorellina, se ci vengo m’avveleni.
Merricat, disse Connie, non è ora di dormire?
In eterno, al cimitero, sottoterra giù a marcire!”
In un tempo imprecisato, in un luogo indefinito, Marricat – Mary Katherine Blackwood – ci accompagna tra le stanze della sua dimora che divide con la sorella Constance, lo zio Julian e il fedele gatto Jonas.
La vita scorre placida sempre uguale a se stessa, Marricat si reca in paese circa due volte a settimana per fare la spesa e il resto del tempo è diviso tra l’assistenza allo zio Julian, lunghe conversazioni con Jonas, la preparazione di gustosi manicaretti e una maniacale dedizione all’orto e alla cura della casa.
Anche questo romanzo, come la maggior parte di Shirley Jackson ha come protagonista la dimora dei protagonisti.
Infatti, al di là delle spiacevoli visite in città di Marricat, tutto il romanzo si svolge tra le mura e i dintorni della tenuta dei Blackwood.
Le due sorelle evitano il più possibile di uscire dalla loro dimora, Mary Katherine è oggetto di scherno ogni volta che si reca in paese, mentre Constance non riesce ad andare oltre qualche passo nel suo giardino.
Il motivo per il quale le sorelle sono temute e irrise riguarda un fatto avvenuto sei anni prima, quando il resto della famiglia Blackwood è morta a causa di un avvelenamento.
Constance è stata accusata di aver avvelenato tutta la famiglia con l’arsenico, successivamente è stata scagionata, ma l’ombra del sospetto continua ad abbattersi sulla tenuta dei Blackwood.
A sei anni di distanza la vita delle due sorelle scorre tranquillamente, fino a quando l’arrivo del cugino Charles darà inizio ad una serie di tragici eventi.
In un tempo imprecisato, in un luogo indefinito, l’unica certezza in questo romanzo claustrofobico è l’inquietudine.
D’altronde, il maestro dell’horror Stephen King definisce Shirley Jackson la sua musa ispiratrice, colei che “non ha mai avuto bisogno di alzare la voce”.
E in effetti, in questo libro a metà tra thriller psicologico e horror non una goccia di sangue viene versata, nessun fantasma si aggira minaccioso, non ci sono colpi di scena, eppure l’atmosfera è pregna di angoscia e ferocia.
Non c’è bisogno di alzare la voce per evocare l’orrore.
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