a cura di Lucia Destino
Titolo: Sogni del fiume
Autore: Chandra Livia Candiani
Genere: Narrativa
Editore: Einaudi
Anno di Pubblicazione: 2022
Illustratrice: Rossana Bossù
“Si narra che il fiume
correndo verso il mare
racconti a se stesso delle fiabe
per farsi compagnia
e per avere meno paura
di quell’attimo in cui
diventerà immenso”
Quello di questa settimana è un libro di fiabe.
Nasce da un gioco che Livia Candiani amava da piccola e che consisteva nel guardare – ché a vedere siamo bravi tutti – i dettagli disseminati intorno a lei.
Ed è così che fenomeni, cose, persone considerati da molti insignificanti, vengono finalmente accolti.
Inizia la strana e salvifica abitudine di illuminare ciò che di solito è lasciato nell’ombra e destinare una storia a chi di solito non ha parole dedicate.
Sono solitudine e speranza gli ingredienti delle quindici fiabe di questo libro in cui si scorge ciò che solitamente non notiamo.
Candiani definisce questo suo lavoro come una sorta di “educazione sentimentale” in cui insegna a riconoscere, normalizzare e valorizzare stati d’animo spesso nascosti, quasi mai condivisi.
Osservare e accettare ogni frammento della nostra esperienza emotiva, per riconoscere un valore ed una dignità a tutto ciò che ci circonda.
A tutto ciò che ci abita.
La mia fiaba preferita è quella dell’usignolo malinconico, perché “nessuno vuole conoscere la tristezza del cuore”, ma nonostante questo, lui “cantò la sua gratitudine per essere nato così: malinconico.”
“C’era una volta un usignolo malinconico.
Nessuno lo voleva nel suo giardino, perché nessuno vuole conoscere la tristezza del cuore.
Nessuno lo voleva nei campi, soprattutto i fiori a cui la sua malinconia rovinava il fuoco dei vestiti.
Perfino la luna, se lo ascoltava troppo a lungo, perdeva la curiosità per gli uomini, e si nascondeva in nuovi paesaggi.
Non per questo l’usignolo diventava più malinconico; una legge della malinconia vuole infatti che non si possa essere più malinconici di malinconici.
Forse l’usignolo non sapeva nemmeno di essere un usignolo malinconico, credeva solo di essere solo e cantava come sapeva.
Quello che l’usignolo non sapeva era che il suo canto ricordava a tutti qualcosa, non proprio la stessa cosa, ma una cosa dimenticata, una cosa ferita.
(…)
La sua malinconia cantò anche lo scorrere dei rumori senza sentimento, gli appuntamenti traditi, il sensato affaccendarsi degli uomini.
Cantò il desiderio di un essere senza senso, cantò il pozzo profondo del cuore in cui nessuno vuole tuffarsi, cantò la fine dell’amore perché tutti temono la sua leggera morte, cantò la fine della gentilezza e cantò se stesso e la sua gratitudine per essere nato così, malinconico.”
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