a cura di Lucia Destino
Titolo: Cento poesie d’amore a Ladyhawke
Autore: Michele Mari
Genere: Poesia
Editore: Einaudi
Anno di Pubblicazione: 2007
“Verrà la morta e avrà i miei occhi
ma dento
ci troverà i tuoi”
È con questo chiaro richiamo a Cesare Pavese che si presenta l’esordio poetico di Michele Mari, autore raffinato di testi in prosa, traduttore e professore presso la facoltà di lettere all’Università di Milano.
L’amore è da sempre il tema più trattato dai poeti, per questo Mari risulta particolarmente coraggioso nel decidere di affrontarlo sfidando le tradizioni passate e presenti per presentarlo senza alcuna banalizzazione.
Il libro carico di contraddizioni: è colto, eppure immediato, direi addirittura epidermico.
È drammatico, pur evidenziando un’irresistibile ironia di fondo.
Il titolo riprende quello del film di Richard Donner, in cui viene narrata la vicenda di due sfortunati amanti che nel medioevo, a causa di un incantesimo, sono destinati a sfiorarsi senza mai incontrarsi davvero.
“Arrivati a questo punto
dicesti
o si va oltre
o non ci si vede mai più
Non capivi che il bello era proprio quel punto
era rimanere
nel limbo delle cose sospese
nella tensione di un permanente principio
nel nascondiglio di una vita nell’altra
Così il mio contrappasso di pokerista
è stato perdere tutto
appena hai forzato la mano”
Mari traccia un percorso tramite le sue poesie e racconta la sua personale storia di amore e ossessione per la donna amata, tra ricordi, rimpianti e rimorsi.
Se inizialmente l’autore decide di non dichiararsi alla ragazza incontrata tra i banchi del liceo, rendendo l’amore pensato, irreale, impalpabile, successivamente quello stesso amore ha la possibilità di realizzarsi, ma lascia il passo all’esitazione.
Ne deriva un amore irrequieto, tormentato, impossibile.
La poesia di Mari non ha punteggiatura, risultando liquida, una specie di stream of consciousness capace di esprimere tormenti e sospiri.
Alcune di queste poesie vi colpiranno particolarmente e vi torneranno in mente portandosi dietro quel gusto dolce e amaro della malinconia, quel sapore noto a chi ha provato la sensazione di rimanere nel limbo delle cose sospese.
“Fedeli al duro accordo
non ci cerchiamo più
Così i bambini giocano
a non ridere per primi
guardandosi negli occhi
e alcuni sono così bravi
che diventano tristi
per la vita intera”
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