a cura di Lucia Destino
Titolo: City
Autore: Alessandro Baricco
Genere: Narrativa
Editore: Rizzoli
Anno di Pubblicazione Prima Edizione: 1999
Premessa: io amo Baricco.
Adoro perdermi nel suo stile barocco, immergermi nelle sue atmosfere intime, guardare le cose dal suo punto di vista, riconoscermi nelle sensazioni che sa scovare e, cosa ancora più difficile, rendere su carta.
City è forse il libro di Alessandro Baricco che più ho adorato, anche se ho dovuto concedergli una seconda possibilità perché la prima volta non era ancora il momento giusto.
Esiste il momento giusto per un libro?
Io credo di sì.
Da allora, da quel colpo di fulmine, lo rileggo periodicamente, per intero o solo i passaggi che ho sottolineato, traendone sempre quella sensazione di confidenza e comprensione che pochi autori sanno rendere.
“Era una specie di lancinante, dolorosa meraviglia.
Ti senti una specie di consolazione, dentro, quasi una rivelazione, che ti spalanca l’anima per così dire, ma contemporaneamente senti una specie di fitta, come la sensazione di una perdita irrimediabile e definitiva.
Una dolce catastrofe.
Credo che c’entri il fatto di essere sempre fuori, in quei momenti lì, sei sempre lì che guardi da fuori.
È una cosa strana.
Quando ti accade di vedere il posto dove saresti salvo, sei sempre lì che lo guardi da fuori.
Non ci sei mai dentro.
È il tuo posto, ma tu non ci sei mai.
Da lì non si torna indietro, continuerai ad essere uno che passa da lì per caso, con addosso una lancinante meraviglia dolorosa, e quindi sempre più allegro degli altri e sempre più triste, come tutte quelle cose, mentre vagoli, da ridere e da piangere.”
City è un romanzo con una struttura particolare, già il nome la richiama esplicitamente: è un insieme di storie diverse, che Baricco immagina come i quartieri di questa città, e di personaggi indimenticabili, le strade che la percorrono.
Si intrecciano tre storie: nella prima conosciamo Gould, un bambino geniale, già laureato in fisica e destinato al Premio Nobel e di Shatzy, una ragazza eccentrica che diventerà la sua governante.
Gould ha tredici anni, ma è già terribilmente solo: la madre è ricoverata in una clinica psichiatrica, il padre è un generale dell’esercito e lui vive in compagnia di due bizzarri amici, Diesel e Poomerang.
L’arrivo di Shatzy, seppur nella sua stravaganza, porterà ordine nella vita di Gould, desideroso solo di poter vivere come gli altri bambini.
La seconda storia è quella immaginata da Gould: la carriera di Larry Goodman tra allenamenti e incontri di boxe.
La terza storia è invece il racconto western che Shatzy sta scrivendo da anni: ambientato a Closingtown tra indiani, uno sceriffo, un saloon, un orologiaio e due sorelle che sarebbe saggio non infastidire.
City è un libro che va assaporato, dopo averlo fatto adeguatamente decantare.
Le scene sono descritte così dettagliatamente e i personaggi così definiti che è semplicissimo immaginare la storia per immagini e il testo sarebbe facilmente utilizzabile come sceneggiatura teatrale o cinematografica.
I diversi livelli in cui questo libro può essere letto permette di esplorare diverse sfumature, fino ad arrivare ad un racconto intimo che parla del posto che occupiamo nel mondo, di quello che vorremmo raggiungere e di quanto sia importante essere la meta del nostro stesso viaggio.
“Sarebbe tutto più semplice se non ti avessero inculcato questa storia del finire da qualche parte, se solo ti avessero insegnato, piuttosto, a essere felice rimanendo immobile.
Tutte quelle storie sulla tua strada.
Trovare la tua strada.
Andare per la tua strada.
Magari invece siamo fatti per vivere in una piazza, o in un giardino pubblico, fermi lì, a far passare la vita, magari siamo un crocicchio, il mondo ha bisogno che stiamo fermi, sarebbe un disastro se solo ce ne andassimo, a un certo punto, per la nostra strada, quale strada?
Sono gli altri le strade, io sono una piazza.
Non porto in nessun posto.
Io sono un posto.”
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